La penultima illusione by Ginevra Bompiani

La penultima illusione by Ginevra Bompiani

autore:Ginevra Bompiani [Bompiani, Ginevra]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788858845790
editore: Feltrinelli Editore
pubblicato: 2022-01-07T23:00:00+00:00


60. 1

Un amico poeta aveva deciso di abbandonare la poesia e ricominciare gli studi per laurearsi in Letteratura inglese e, da poeta in cerca d’ispirazione, diventò un appassionato studioso. All’inizio della sua carriera, io, che nel frattempo avevo vinto la cattedra, chiesi un posto di ricercatore e gli proposi di presentarsi. Erano con me in commissione due oneste docenti e le cose andarono fin troppo lisce. Ma non appena ebbe ottenuto il posto, l’amico mi salutò e scese a Roma. Così mi trovai con un concorso per ricercatore, ma senza un vincitore.

Allora Roma si scatenò. Destinò a vincere il posto una donna magra, irta, con corti capelli bianchi e occhiali aguzzi. Viaggiava in corriera da Roma a Siena raccontando ai futuri colleghi i suoi rapporti col suocero e catturando la loro benevolenza con complimenti e dolciumi. Quando arrivò la seconda tornata del concorso, era pronta. E anche Roma lo era.

Il presidente di commissione che arrivò a cavallo non si aspettava nessuna resistenza. Gli avevano messo accanto un timido professore associato, che dipendeva da lui per diventare ordinario. Il barone mise le mani sul concorso da cima a fondo. Se fossi stata furba, lo avrei lasciato fare.

Ma non ero furba, solo cocciuta. Consultai l’ufficio amministrativo e l’ufficio legale dell’Università. Scrissi al preside e al rettore. Quando vinse la pupilla di Roma, il timido commissario e io non firmammo il verbale. Il barone ci denunciò.

Cominciarono così sette anni di persecuzione giudiziaria, che portarono al mio abbandono dell’insegnamento, sebbene, alla fine di quei sette anni e dopo alterne vicende fossi assolta a pieni voti.

Di quegli anni porto una cicatrice. Non per la lettera di sostegno al barone romano che scrissero i miei colleghi o per le dichiarazioni che fecero in Tribunale contro di me; più cocente è il ricordo di quando, durante la prima udienza, la giudice mi chiamò ‘la Bompiani’, senza nemmeno girare la testa.

So che si è responsabili dell’odio che si suscita, che il mio orgoglio, la mia mania di fare a modo mio, la mia incapacità di mescolarmi mi hanno valso la diffidenza dei colleghi, tranne quelli che hanno bruciato la distanza e sono diventati amici.

Ricordo una volta che, entrando nel bar della facoltà, vidi i giovani baristi servirmi un caffè con amichevole imbarazzo. Capii che i tre o quattro professori lì seduti avevano fino a quel momento sparlato di me. In particolare uno, che, alla mia domanda, rispose: “Sei troppo superba!”.

“È vero,” risposi, “ma che te ne importa? A chi faccio del male?”

Divenne un mio sostenitore, al punto che una sera, ubriaco, mi telefonò dicendomi: “Non sapevo se chiamare te o una puttana..”. Ne fui lusingata.

Un giorno finirono quei sette anni malvagi. La vincitrice continuò la sua carriera. Chissà che ne è stato del suocero.

In quegli stessi anni, ho fatto un sogno che poi diventò un libro: Ritratto di Sarah Malcolm. Questo sogno ne ripeteva un altro, fatto molti anni prima, nel 1975, a Londra: attraversavo la sala di attesa di una stazione, dove diversi uomini erano seduti a



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